Acate, Tradizioni popolari acatesi

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Acate

Tradizioni popolari acatesi

La leggenda del guerriero Acate

Il nome “Acate” deriverebbe da un tipo di pietra chiamata il epoca greca col nome “Achates” che veniva raccolta presso il Fiume Dirillo.

Secondo un’antica leggenda greco – romana, lungo questo corso d’acqua sarebbe stato sepolto il guerriero “Acate”, scudiero di Enea (protagonista dell’Eneide di Virgilio) che, dopo aver aiutato l’erede troiano a fondare quella che sarebbe poi diventata Roma, se ne sarebbe andato in Sicilia per vivere la il resto della sua vita.

Il sepolcro sarebbe stato formato dalla suddetta pietra raccolta presso il fiume.

Dal nome di questo guerriero deriva l’attuale “nome” della cittadina acatese, che venne dato ad essa nel 1938 dallo studioso locale Carlo Addario. 

Leggende attorno al Castello Biscari di Acate

Il Castello Biscari, principale monumento di Acate, è protagonista di varie leggende popolari.

La prima è quella che parla di un grande tesoro nascosto sotto il castello formato da varie casse colme di monete d’oro, gioielli e pietre preziose appartenute ad uno dei signori di Biscari (attuale Acate).

In molti si sarebbero avventurati nei sotterranei (corrispondenti al pozzo collocato al centro del cortile del castello) ma in molti o non hanno trovato niente oppure si dice che siano misteriosamente scomparsi.

Ancora oggi gli acatesi credono che sotto il castello vi è nascosta una ricca “Truvatura” ossia il prezioso tesoro.

La seconda è quella riguardante l’arrivo delle spoglie di “San Vincenzo Martire” presso l’adiacente chiesa.

Essa risale a prima della collocazione delle sue ossa nella chiesa e ha per protagonista la moglie di uno dei principi di Biscari che scoprì il tradimento del marito, compiuto con una serva del castello.

Il marito non ebbe conseguenze ma a pagare fu la povera serva, che subì una terribile punizione dalla moglie del principe.

Il corpo della serva venne cosparso di miele per attirare molti insetti ed essere quindi punta e morsicata, venendo poi murata viva in una stanza del castello (molto probabilmente nei sotterranei sopracitati).

La principessa non si impietosì sentendo le implorazioni e le grida della serva che dopo poco tempo morì di stenti.

Dopo la morte della ragazza, la principessa cominciò a sentirsi in colpa e ad addolorarsi.

Il marito, anche lui non esente da colpe essendo l’artefice del tradimento, chiese disperatamente aiuto al prete del paese che consigliò a lui e alla moglie di andare a Roma dal Papa.

Il pontefice accettò di ricevere la principessa colpevole del delitto sopracitato e quindi di assolverla dal peccato, ma per benedire le mura del castello in cui è successo il fatto di sangue consigliò a lei di far costruire una chiesa attaccata alla loro dimora (appunto il Castello Biscari), aprirla al culto e di collocare all’interno di essa il corpo di un “Santo Martire” da poter venerare.

Nel castello vi era già posta una piccola Cappella, che però venne ampliata per ospitare il “Santo” da poter venerare al suo interno.

I due principi di Biscari dovevano solo scegliere il “Martire” da portare con loro nell’odierna Acate e la principessa venne condotta dal Papa presso le Catacombe Vaticane dove ancora vi erano tumulati i resti di alcuni “Santi Martiri”.

Portati davanti ai sepolcri in cui erano collocati interi corpi scheletriti o pochi frammenti ossei, i principi erano indecisi su quale “resto” scegliere; ma ad un tratto videro uno scheletro alzare improvvisamente il braccio attirando la loro attenzione.

Andarono presso il sepolcro in cui era collocato lo scheletro trovandolo quasi intatto con sopra indicato il nome “Vincenzo”.

Capirono subito che la volontà di quel “Santo” era quella di essere portato a Biscari per perdonare le loro colpe facendo alzare il braccio di quello scheletro.

Venne costruita un’urna di cristallo in cui il corpo (che venne vestito con abiti principeschi) venne collocato per essere inviato a Biscari via nave.

Il corpo sbarcò a Scoglitti venendo condotto presso l’attuale Acate accompagnato da vari cavalieri.

Lo scheletro di “San Vincenzo” (sul cui cranio non venne messa nessuna maschera per coprirlo) è tuttora posto presso l’Altare Maggiore della chiesa in cui oggi è ancora venerato.

La Leggenda di “Maria Bambina”

La leggenda acatese di “Santa Maria Bambina” risale ai primi anni del 1900 in seguito al ritrovamento dell’omonima statua collocata presso la Chiesa di San Vincenzo.

Essa narra di un gruppo di carrettieri ritornava dal loro lavoro percorrendo il sentiero su cui è collocata l’attuale S.P. 2 che conduce alla Valle del Fiume Dirillo (e a Caltagirone).

Nei pressi di Acate sentirono il pianto di una bambina in mezzo a dei cespugli e i carrettieri, seguendo la direzione da dove provenivano questa urla, trovarono sotto ad un cespuglio una neonata che piangeva.

Quando uno dei carrettieri la prese in braccio, la bambina diventò una statua di pietra.

I carrettieri rimasero stupefatti e non capivano il perché di tutto ciò, e portarono immediatamente al prete della Chiesa Madre la bambina pietrificata.

Il prete  prima effettuò una benedizione sulla bimba pietrificata e poi la identificò in “Santa Maria Bambina”.

Questa statua venne collocata presso la Chiesa di San Vincenzo e da allora venne chiamata “A Santa Bambinedda”, venendo proclamata protettrice dei “Carritteri” acatesi.

Il Massacro di Biscari

Il “Massacro di Biscari” è, assieme a quelli di Castiglione di Sicilia (CT) e Canicattì (AG) tra i peggiori crimini di guerra (tra quelli “noti”) commessi in Sicilia.

Dopo lo sbarco alleato del 10 Luglio 1943 avvenuto presso le coste meridionali della Sicilia (nelle Province di Siracusa, Ragusa, Caltanissetta e Agrigento), i soldati angloamericani cominciarono a liberare le città siciliane in cui vi erano importanti basi fasciste e naziste.

Nel ragusano vi furono stragi di civili; a Vittoria vennero uccisi 12 civili tra cui il podestà acatese Giuseppe Mangano assieme al figlio diciassettenne Vincenzo.

Era il preludio del sanguinoso Massacro di Biscari.

La data successiva al 10 Luglio vide il 180esimo reggimento della 45esima divisione della fanteria dell’esercito americano muoversi verso la base aerea nazifascista di Contrada Santo Pietro tra i territori di Caltagirone, Gela e appunto Acate, e nota come “Aeroporto di Biscari – Santo Pietro”.

La base venne attaccata dagli americani la notte tra il 13 e il 14 Luglio 1943 e i soldati tedeschi ed italiani si arresero consegnandosi a loro.

Erano in tutto 76 prigionieri che vennero divisi in due gruppi, presi in consegna rispettivamente dal capitano John Compton e dal sergente Horace West.

Il capitano Compton diede l’ordine di giustiziare tutti i 38 prigionieri del gruppo a lui affidato (2 tedeschi mentre i restanti erano tutti italiani) che vennero uccisi a colpi di mitragliatrice, di cui tra essi vi era anche il famoso atleta tedesco Luz Long.

Solo in due riuscirono a salvarsi, gli italiani Virginio De Roit (caporale) e Silvio Quaiotto (soldato) che riuscirono fortunatamente a scappare risalendo il Torrente Ficuzza (tra le aree di Gela e Caltagirone).

Il gruppo di 39 prigionieri affidato al sergente West venne fatto marciare verso ovest arrivando presso la contrada gelese di “Piano Stella”.

Arrivati in quella zona da l’ordine di mitragliare tutti i prigionieri.

Di essi si salvò il palermitano Giuseppe Gianola che si finse morto dopo esser stato colpito di striscio, anche se nel fuggire venne colpito di nuovo fingendosi morto per l’ennesima volta e, appena gli americani calarono la guardia scappò fino a quando trovò due medici facenti parte dell’esercito americano che lo curarono (ignari del massacro) dicendogli di aspettare poiché sarebbe passata un’autoambulanza.

Passò invece un veicolo con due soldati americani che, vedendo che apparteneva all’esercito italiano, gli spararono ferendolo alla spalla senza ucciderlo.

L’ambulanza poco dopo passò e Gianola venne condotto prima all’ospedale da campo di Scoglitti, poi trasportato all’ospedale militare di Giovinazzo (BA) dove venne curato del tutto.

Giuseppe Gianola (che nel frattempo venne accusato e imprigionato per diserzione, accusa poi caduta) raccontò inutilmente del massacro per molti anni, fino a quando nel 2004 la procura di Padova cominciò ad indagare sull’accaduto in maniera più approfondita.

Giuseppe Gianola venne insignito della massima onorificenza della Repubblica Italiana nel Giugno 2012; dopo tutto ciò è deceduto il 4 Dicembre 2016.

Gli artefici delle stragi, il capitano John Compton (morto in combattimento a Montecassino l’8 Novembre del 1943) e il sergente Horace West, vennero comunque processati ma non subirono gravi condanne, difendendosi affermando di aver seguito gli ordini del generale Patton, in cui intimava di uccidere i prigionieri.

Oggigiorno presso la Contrada di Santo Pietro (in territorio di Caltagirone) è stata posta una targa in memoria del Massacro di Biscari.

Le apparizioni di “Padre Pio” ad Acate

Nell’estate dell’anno 2000 un abitante di Marina di Acate, Massimo Cristina (con passato da lavoratore presso la raffineria di Gela) noto per essere ateo, affermò di aver sognato “Padre Pio da Pietrelcina” per ben tre volte; in questi sogni il frate diceva a lui “Voglio essere messo nel vigneto fuori casa tua”.

Inizialmente non diede peso al primo sogno, ma dopo un po’ di tempo sognò di nuovo il frate che gli disse sempre “Voglio essere messo nel vigneto fuori casa tua”.

Massimo Cristina non diede peso neanche stavolta al sogno, fino a quando non sognò Padre Pio per la terza volta che, oltre a dirgli “Voglio essere messo nel vigneto fuori casa tua” aggiunse che per confermare che tutto ciò è vero, vedrà un fuoco alzarsi”.

Massimo Cristina si alzò e notò fuori casa dei cavi elettrici prendere fuoco per un corto circuito.

Convincendosi di ciò Massimo Cristina fece costruire a sue spese nel suo giardino (in cui vi è posto un vigneto) un piedistallo in cui venne collocata una statua raffigurante “Padre Pio da Pietrelcina”.

Disse inoltre che, mentre bruciava le sterpaglie per iniziare la costruzione, il fuoco delimitò una certa area capendo che li doveva collocare la statua.

A costruzione ultimata Massimo Cristina sentì un intenso profumo di rose, e poco dopo vide alcune persone deporre proprio mazzi di rose sotto la statua raffigurante il “Frate Campano”.

Il giardino di Massimo Cristina divenne un luogo di preghiera e molti acatesi si consacrarono al “Frate di Pietrelcina”.

Vedendo che il culto si espandeva, venne deciso di collocare una statua di “Padre Pio” presso la cittadina di Acate.

Ciò avvenne il 28 Dicembre 2000 quando tra le Vie Galileo Galilei, Catania e Trapani (a sud del Corso Indipendenza) presso uno spiazzale venne collocata una statua in bronzo che raffigura “Padre Pio da Pietrelcina”, creando un luogo di preghiera a lui consacrato e nel frattempo una piccola area di verde pubblico all’interno della città acatese.

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