Comiso, Via Emanuele Calogero e Terme di Diana

Comiso

Via Emanuele Calogero e Terme di Diana

A nordovest della Piazza Fonte Diana, tra il Municipio e il Palazzo Iacono – Ciarcià, è posta la Via Emanuele Calogero. Si tratta di una strada di collegamento tra la Piazza Fonte Diana e la Piazza delle Erbe in cui si affaccia la Chiesa Madre di Santa Maria delle Stelle e l’ex Mercato Ittico della città comisana, che venne intitolata al primo sindaco della città comisana proclamato dopo l’Unità d’Italia (che mantenne la carica di “primo cittadino” dal 1862 al 1870).

Presso questa strada, durante la costruzione del Municipio di Comiso terminata nel 1887 sul preesistente sito in cui era collocato il Convento di San Giuseppe che venne demolito nel 1875. Proprio durante i lavori in cui si dovevano costruire le fondamenta del municipio comisano, vennero rinvenuti i ruderi di un’antico edificio presentante tracce di mosaici con cui vennero confermate le antiche origini greco – romane dell’attuale città comisana, il cui nucleo primordiale era rappresentato da un insediamento abitativo che era sorto attorno alla sorgente in cui vi è tuttora collocata la Fontana di Diana; le rovine riportate alla luce sia delle terme che di siti sepolcrali posti all’interno della città confermarono ciò. I ruderi vennero però studiati con attenzione con le campagne di scavi condotte prima dall’archeologo vittoriese Paolo Enrico Arias negli anni 1934 e 1935 in cui venne rinvenuta una figura animalesca simile ad un cavallo riconducibile al “Cavallo Ipparino” o “Hipparis” (ossia l’animale caro al dio Apollo che un tempo rappresentava il Fiume Ippari), mentre il comisano Biagio Pace (anch’egli archeologo) supervisionò un’approfondita campagna di scavi nel 1937. Gli scavi riportarono alla luce le rovine di un antico impianto termale di origine romana risalente al periodo a ridosso tra i secoli I (1 – 100), II (101 – 200) e III (201 – 300) secolo d.C. utilizzato fino all’epoca bizantina – altomedievale, periodo in cui molto probabilmente l’edificio originario crollò (non si sa per quale motivo) e di queste terme se ne persero le tracce per vari secoli fino al casuale ritrovamento. Altri scavi vennero eseguiti negli anni 1988 – 1989 dall’archeologo ragusano Giovanni Di Stefano per conto della Soprintendenza ai Beni Culturali di Siracusa, con i quali vennero del tutto riportati alla luce (per quanto ne fosse possibile) i resti di queste antiche terme inglobate col passare dei secoli all’interno della città comisana.

L’impianto termale, noto appunto come “Terme di Diana” per la vicinanza all’omonima sorgente o più specificatamente “Terme Romane di Comiso”, lo si può visitare per intero dalla Via Emanuele Calogero ed è delimitato da una ringhiera che ne circonda i ruderi. L’edificio termale era chiaramente più grande rispetto ai ruderi rinvenuti e buona parte di esso ancora giace sotto i limitrofi Palazzi del Municipio e Iacono – Ciarcià.

Le terme sono suddivise in quattro distinti ambienti classificati come “Ninfeo”, “Giardino”, “Cisterna”, “Tepidarium” e “Calidarium”

Il “Ninfeo” non è altro che il “Vestibolo” d’ingresso alle terme posto nell’area orientale di Via Emanuele Calogero, la cui pavimentazione è caratterizzata da un mosaico in cui sono raffigurate delle divinità marine di cui la più riconoscibile è il dio del mare “Nettuno” col tridente in mano. Vicino ad esso vi sono delle canalette che convogliavano l’acqua della Fonte Diana all’interno dell’impianto termale.

Dopo il “Ninfeo”, a nordovest è posto quello che era il “Giardino” interno delle terme che fungeva da “pozzo luce” in modo da illuminare l’edificio. Vicino a quest’area durante gli scavi del 1934 condotti dall’archeologo Paolo Enrico Arias, venne ritrovata la sopracitata scultura raffigurante la testa di un animale simile ad un cavallo, che rappresenterebbe il “Cavallo Ipparino” ossia l’animale con cui veniva “divinizzato” il vicino Fiume Ippari (il cui nome deriverebbe dal greco antico “Ippois” ossia “Cavallo”).

A poca distanza vi è collocato uno spazio semicircolare che delimita la “Cisterna” delle terme formata da una vasca rettangolare in cui erano immagazzinate le acque provenienti dalla limitrofa sorgente. 

Nell’estremità nordorientale delle terme è posto il “Caldarium” contraddistinto da una vasca di forma ottagonale in cui confluivano le acque più calde riscaldate da una caldaia nota come “Praefurnum”, a sua volta collegata ad un “Ipocasto” ossia una specie di “Sauna” di tipo arcaico riscaldata dal vapore acqueo proveniente dalla limitrofa caldaia.

A sudovest è posto il “Tepidarium” la cui vasca, in cui confluivano le acque un po’ più tiepide, però è occultata dalla soprastante ala laterale del Municipio di Comiso.

Non si sa se vi era posto anche un “Frigidarium” ossia una vasca per le acque completamente fredde (presente in quasi tutte le terme romane) ma non si sa (se esistente) dove possa essere collocata (sotto il Municipio, sotto il Palazzo Iacono – Ciarcià o sempre presso la Via Emanuele Calogero?).

Le Terme di Diana di Comiso si possono facilmente visitare e fotografare, ma è comunque severamente vietato gettare qualsiasi tipo di rifiuti all’interno delle rovine, scavalcare la recinzione e camminare sui ruderi, imbrattare le rovine con qualsiasi tipo di materiale e ovviamente tentare di scavare all’interno del sito archeologico.

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