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Ispica

Tradizioni popolari Ispicesi

“Sant’Ilarione di Gaza”

Ad Ispica è molto venerata la figura di “Sant’Ilarione di Gaza”, un eremita che secondo la tradizione locale visse presso la limitrofa “Cava d’Ispica” all’interno di una caverna.

La sua figura viene associata a quella di un monaco originario della Palestina; si presume infatti che l’eremita sia originario del villaggio di “Tabata” (presso l’attuale Gaza) in cui vi nacque nell’anno 291 d.C.

Il religioso compì gli studi ad Alessandria d’Egitto, città in cui si convertì al culto cristiano dopo l’incontro con “Sant’Antonio Abate”.

Ritornò in Palestina e, alla notizia della morte dei suoi genitori, donò tutti i suoi averi ai poveri e andò in eremitaggio seguito da alcuni discepoli.

Ilarione visse come eremita in Palestina, per poi migrare in buona parte dei territori dell’Impero Romano.

Intorno all’anno 330 in Sicilia, andò a vivere presso una grotta posta nel sito della Cava d’Ispica dove rimase per circa 2 anni, prima di ritornare a peregrinare negli attuali territori italiani, croati e ciprioti seguito da molta gente che lo acclamava come guaritore.

Morì a Pafo (Cipro) nell’anno 371.

Questo si sa della vita dell’Eremita palestinese che secondo frammentarie fonti storiche visse nella Cava d’Ispica presso la caverna nota tuttora come “Grotta di Sant’Ilarione”, ubicata a nord del “Parco Forza” nell’area nota come “Serramontone”.

Con molta probabilità la fama dell’eremita era dovuta ai suoi “presunti” miracoli, che comprendevano inspiegabili guarigioni.

Molto probabilmente per l’insistenza della popolazione locale che chiedeva lui varie “grazie e miracoli” interrompendo il suo “ascetismo”, l’eremita palestinese si fermò in territorio ispicese solo un paio di anni, ritornando di fatto a peregrinare in varie aree che si affacciano sul Mare Mediterraneo.

In molti sono stati gli studiosi che hanno tentato di ricostruire la sua vita e il suo operato presso la Cava d’Ispica.

Senza dubbio va citato lo studio effettuato dallo storico ispicese Melchiorre Trigila, che viene esposto nel suo libro “Ilarione: il Santo vissuto a Cava d’Ispica”, nel quale tramite varie fonti e studi viene ricostruito il presunto operato dell’Eremita all’interno della Cava d’Ispica.

“Sant’Ilarione da Gaza”, era inoltre venerato dalla non più esistente comunità francescana dei Cappuccini di Spaccaforno.

Oggigiorno la figura di “Sant’Ilarione” continua ad essere particolarmente venerata ad Ispica, tanto che un suo “simulacro” è esposto presso la Chiesa di Santa Maria della Cava (posta ad ovest dell’area archeologica di “Parco Forza” appartenente anch’essa alla Cava d’Ispica).

La figura di questo “Santo” viene celebrata in occasioni speciali, come ad esempio i giubilei cattolici.

Infatti, in occasione del Giubileo della Misericordia 2015 – 2016 che avvenne la notte tra il Mercoledì e il Giovedì Santo della “Settimana Santa” ispicese dell’anno 2016, la statua di “Sant’Ilarione” venne portata in processione verso la Chiesa di Santa Maria Maggiore di Ispica.

Va detto infine che “Sant’Ilarione da Gaza” funge ancora da “riferimento” per molti escursionisti, i quali si avventurano lungo la Cava d’Ispica per raggiungere la sopracitata “Grotta di Sant’Ilarione”.

La misteriosa Isola dei Porri

La disabitata “Isola dei Porri”, è posta al largo della costa ispicese appartenente alla frazione di “Santa Maria del Focallo”.

Il nome di quest’isola lo si deve all’ormai non più presente “porro selvatico” che cresceva su di essa.

L’isola, che in realtà è formata da due scogli affioranti recando un fanale di segnalazione per i naviganti, è uno dei luoghi più “misteriosi” del territorio ispicese.

Si presume che quest’isola sia stata un luogo in cui vennero sepolti cadaveri ritenuti “scomodi” in seguito al ritrovamento di vari resti umani ormai scheletriti.

Si presume che su quest’isola, durante il periodo della dominazione araba della Sicilia (precisamente nell’anno 903), vennero quasi certamente seppelliti gli avversari dell’Emiro Ziyadat Allah III, il quale il proprio padre, il fratello e circa trenta suoi cortigiani.

Secondo vari studi effettuati e ipotesi correlati a quanto sopracitato, i corpi vennero trasportati presso quest’isola (a quei tempi non segnalata nelle carte nautiche) per essere seppelliti segretamente.

L’ipotesi di tutto ciò è stata avvalorata dal ritrovamento nel 1989 di circa una quindicina di scheletri, rinvenuti durante una campagna archeologica condotta su quest’isolotto.

I resti risalgono al periodo tra il 900 e il 1000, che quindi combacerebbero con l’epoca in cui avvenne la suddetta uccisione di massa.

La campagna archeologica durata fino al 2002 comunque stabilì che questi scheletri siano stati sepolti in sepolcri risalenti a qualche secolo prima (epoca bizantina), durante la quale l’isola fungeva da avamposto marittimo, o da postazione sosta per naviganti e pescatori che si cibavano delle poche piante di porro che danno il nome all’isolotto in cui crescono.

Per la sua posizione remota, quest’isola è stata teatro di molte leggende e dicerie da parte della popolazione locale che narravano rispettivamente della presenza di creature e spettri, che ai pescatori si manifestavano attraverso visioni di vario tipo, rumori e voci.

Ciò che purtroppo è reale, è l’erosione dell’Isola dei Porri, il cui perimetro va sempre più restringendosi rischiando di scomparire del tutto.

Il “Cieconato” di Spaccaforno

Una delle personalità più misteriose legate alla città di Ispica, o per meglio dire all’antica Spaccaforno, è il cosiddetto “Cieconato”.

Secondo le poche fonti storiche che si hanno su di lui, era un “poeta” non vedente dalla nascita che visse a Spaccaforno durante la prima metà del secolo 1600.

La perenne cecità gli valse il soprannome di “Cieconato” (talvolta scritto “Ceconato”).

Sicuramente si trattava di una persona estremamente povera che si guadagnava da vivere recitando poesie, componendo canti e indovinelli, il tutto in dialetto siciliano o per meglio dire “Spaccafurnaru”.

 Di lui si sa solo che partecipò ad una sfida di indovinelli in dialetto siciliano con un altro noto poeta dialettale, il palermitano Pietro Fullone (vissuto tra il 1600 e il 1670).

Le sfide di indovinelli e di “versi in rima” tra poeti siciliani a quel tempo erano diffuse, e il palermitano Pietro Fullone era uno che ne usciva quasi sempre vincitore.

Secondo la tradizione popolare, fu proprio il “Cieconato” di Spaccaforno a sconfiggere il poeta palermitano.

Il poeta ispicese, in molti paragonato ad una sorta di “Omero” siciliano, doveva avere una creatività tale da saper comporre versi e indovinelli apprezzati in gran parte dell’allora Contea di Modica, all’interno della quale sfidava altri “poeti dialettali”.

La sua fama crebbe a dismisura arrivando fino a Palermo, allora capitale del “Vicereame di Sicilia” dipendente dall’Impero Spagnolo (governato dalla famiglia reale degli Asburgo di Spagna).

La sfida tra poeti con molta probabilità venne voluta da alcuni nobili palermitani e ispicesi, per vedere chi era il poeta “migliore”; le ipotesi ricadono sul Viceré di Sicilia del periodo 1655 – 1656 (periodo presunto della suddetta sfida) Juan Téllez – Girón dei Duchi di Ossuna, e il suo contemporaneo Marchese di Spaccaforno Antonio II Statella.

La figura del “Cieconato” appassiona tuttora molti studiosi locali, ma il primo a cercare di saperne di più fu lo scrittore e storico Serafino Amabile Guastella originario di Chiaramonte Gulfi, vissuto tra il 1819 e il 1899.

L’interesse venne suscitato da un manoscritto del 1667 noto come “Libretto di utili cognittioni ad usum clerici” opera di un suo antenato, Marco Guastella.

Nel libro è riportata una poesia composta da un altro poeta di umile estrazione, il calzolaio Natale Lo Gatto anch’egli di Chiaramonte Gulfi.

In questa poesia vi si trova il verso “A Spaccafurnu c’è lu Cicu Natu!” (“A Spaccaforno c’è il Cieco Nato!”), riferendosi al corrispettivo poeta.

Egli cercò numerose informazioni sulla figura del “Cieconato” di cui si conosceva qualche verso anche della sfida sopracitata, dove in un verso del poeta palermitano Pietro Fullone egli si riferisce al poeta chiamandolo “Peppi” (“Giuseppe”).

Malgrado ciò non riuscendo però a trovare materiale utile sulla sua identità.

Ma un giorno, lo scrittore chiaramontano sentì casualmente dei contadini modicani conversare in dialetto, mentre lavoravano in un appezzamento di terreno vicino Modica.

Uno di questi piuttosto alterato esclamò in dialetto “Cchi m’ha pigghiatu, ‘ppi Peppi Gammuzza ca
nun avia uocci e viria?”, che in italiano signifca pressappoco così “Per chi mi hai preso, per Peppe (Giuseppe) Gammuzza (o Gambuzza), che non aveva occhi e vedeva?”.

Lo studioso chiaramontano sentendo ciò chiese informazioni al contadino sul significato di ciò che aveva detto, ed egli rispose dicendogli pressappoco “Accussì ricieunu l’antichi, e accussì riciemu niautri!” (“Così dicevano i nostri antenati, e così diciamo noi!”).

Serafino Amabile Guastella collegò quanto sentito dal contadino alla figura del “Cieconato”, poeta non vedente ma molto intelligente che presumibilmente si chiamava “Giuseppe”, tanto che chi lo conosceva credeva che “non aveva (la vista degli) occhi ma poteva vedere ugualmente” contribuendo così alla creazione di una specie di “proverbio” o “modo di dire”, che si è poi tramandato alle generazioni figlie di chi, in maniera effettiva aveva conosciuto il poeta ispicese.

Potrebbe essere una plausibile ipotesi, tanto che ha spinto vari studiosi contemporanei ad analizzare i registri di nascita del secolo 1600 conservati all’interno della sagrestia della Chiesa Madre di Ispica, e figurano vari Giuseppe Gambuzza nati presso l’antica Spaccaforno.

I refusi di questa “gara” avvenuta tra il “Cieconato di Spaccaforno” e il poeta Pietro Fullone, sono stati raccolti da vari studiosi che hanno trascritto le poche fonti popolari tramandate a voce.

Tra loro citiamo lo stesso Serafino Amabile Guastella e la sua opera “Le Domande Carnascialesche e gli scioglilingua del Circondario di Modica” in cui sono riportati alcuni versi, il poeta dialettale Giovanni Girgenti di Bagheria, la studiosa ispicese Rosa Fronterrè – Turrisi, lo scrittore catanese Salvatore Camilleri e il poeta modicano Carmelo Assenza.

Inoltre sono stati condotti alcuni studi dallo storico ispicese Melchiorre Trigila, e dal giornalista Luigi Blanco per conto della rivista dell’associazione culturale ispicese “Le Muse” (sito web lemuseispica.jimdofree.com). 

Ma il presunto “Cieconato di Spaccaforno” si chiama davvero “Giuseppe Gambuzza”? Egli è realmente esistito o è una figura “mitologica” o “immaginaria” creata dalla fantasia popolare di allora? I versi raccolti fino ad ora sono davvero autentici?

Ancora ciò non lo si sa con precisione, ma nell’attuale Ispica in molti sono coloro che si sono appassionati alla figura del “Cieconato di Spaccaforno”, studiandone tutte le fonti disponibili e cercandone eventualmente altre per poter fare chiarezza su questo enigmatico personaggio legato alla storia del territorio ispicese.

Inoltre presso l’area sudoccidentale di Ispica è presente la “Via Ceconato”, intitolata proprio alla figura di questo enigmatico poeta. 

Per saperne di più sui presunti versi della sfida tra il “Cieconato di Spaccaforno” e il poeta palermitano Pietro Fullone trascritti da Serafino Amabile Guastella cliccate qui; per leggere tutte le versioni della sfida raccolte dal poeta modicano Carmelo Assenza cliccate qui; per lo studio condotto da Melchiorre Trigila cliccate qui; per alcuni articoli riportati sulla rivista ispicese “Le Muse” cliccate nei seguenti link (link 1link 2).

“Padre Salvatore della Santissima Trinità”

Il religioso ispicese Andrea Statella, meglio noto come “Venerabile Padre Salvatore della Santissima Trinità”, rappresenta uno dei vari esempi di personalità “aristocratiche” che rinunciano a ricchezze e privilegi per vivere una vita totalmente consacrata al culto cristiano.

  Egli, nato nel 1678 nell’antica Spaccaforno, apparteneva alla famiglia dei marchesi Statella essendo il figlio secondogenito del Marchese Francesco V, che tra l’altro fu uno dei “protagonisti” durante la ricostruzione settecentesca sul Colle Calandra di quella che poi divenne l’attuale Ispica.

Il giovane aristocratico effettuò gli studi teologici a Catania e a Roma, essendo consacrato nel 1711.

Tornò a Spaccaforno nel 1715 durante il periodo della ricostruzione della cittadina sul Colle Calandra, dopo che la preesistente posta lungo la Cava d’Ispica venne distrutta causa del terremoto dell’11 Gennaio 1693.

Andrea Statella era devoto al culto della “Santissima Trinità”, e fece costruire due chiese ad essa consacrata a Spaccaforno e presso il feudo della Marza (questi edifici sacri oggi non sono più esistenti).

Il 12 Maggio 1726 prese i voti divenendo frate carmelitano, assumendo il nome di “Padre Salvatore della Santissima Trinità”.

Egli rinunciò al patrimonio ereditario, che impiegò totalmente per la ricostruzione dell’attuale Convento del Carmine di Ispica.

Il frate “nobile” aiutava i poveri di Spaccaforno (odierna Ispica) e dei centri limitrofi tra cui Modica e Scicli, città in cui avvenne un evento prodigioso legato alla sua figura (vedi più sotto).

Padre Salvatore della Santissima Trinità fu l’artefice della riforma carmelitana avvenuta nell’allora Provincia di Siracusa (che all’epoca comprendeva anche la città di Spaccaforno), la quale proseguì dopo la sua morte grazie al religioso “Venerabile Padre Girolamo Terzo” originario di Noto (SR).

Proprio mentre era in viaggio verso Ferrara laddove si doveva discutere di questa riforma, mentre era ospite presso il Convento di San Giovanni Battista di Rimini, Padre Salvatore della Santissima Trinità si ammalò e a causa di una polmonite morì il 22 Aprile 1728 all’età di 50 anni, essendo tumulato presso la città romagnola.

Nonostante ciò, seppur senza non poche rimostranze da parte del ramo principale dell’ordine carmelitano, la “sua” nuova riforma venne approvata nel 1742 grazie al suo fedele discepolo “Padre Pietro di Gesù” (al secolo Pietro Infantino) e al  “Venerabile Girolamo Terzo”.

La nuova riforma, da cui derivò la “Provincia Riformata di Santa Maria Scala del Paradiso” (dal nome del convento situato in territorio di Noto in cui dimorava e operava il sopracitato “Venerabile Girolamo Terzo), prese in vari centri della Sicilia orientale (in particolare Scicli, Noto, Siracusa, Augusta, Catania, Caltagirone, Piazza Armerina e ovviamente Spaccaforno – attuale Ispica).

Il 21 Novembre 1756, la salma di Padre Salvatore della Santissima Trinità venne traslata definitivamente a Spaccaforno, essendo sepolta all’interno della Chiesa di Santa Maria del Carmine (nella quale possiamo ammirare la sua tomba).

“Padre Salvatore della Santissima Trinità” fu protagonista di “presunti” eventi miracolosi venendo proclamato col titolo di “Venerabile”, tra cui una presunta “grazia” avvenuta a Scicli e documentata il 12 Ottobre 1728.

Si trattava della miracolosa riconciliazione di un marito fedifrago e violento con la sua moglie, affranta dal comportamento del consorte.

La donna sapeva che il marito la tradiva, e lo implorava in tutti i modi di cessare tutto ciò; ma egli non accoglieva di buon grado i rimproveri della moglie, e molte volte la minacciò di morte.

La donna sciclitana, durante la Processione del Corpus Domini di quell’anno, si ricordò della figura di Padre Salvatore della Santissima Trinità che spesse volte scendeva a Scicli a predicare, e si rivolse a lui per riportare il marito sulla retta via.

Durante la processione a cui il marito partecipò, nel momento in cui avvenne la benedizione collettiva con l’ostensorio egli ebbe un profondo ravvedimento e cominciò a pentirsi di ciò che aveva causato.

Dopo di ciò, tornò a casa dalla moglie implorandone il perdono per i dolori che le aveva provocato, ovviamente ricevendolo.

Tutto ciò venne ritenuto “prodigioso” e, in base a questo presunto “miracolo”, il 19 Maggio 1762 iniziò il processo di beatificazione del religioso ispicese.

Il processo di beatificazione però si arrestò perché, essendo passati circa 30 anni dal sopracitato miracolo, non vi erano “testimoni” in grado di confermare quanto venne documentato.

Vi sono molte ipotesi sulla sua mancata “Beatificazione”, ma oggigiorno “Padre Salvatore della Santissima Trinità” mantiene il titolo di “Venerabile”, essendo comunque una delle principali personalità religiose della città di Ispica.

Per saperne di più sulle suddette vicende clicca qui.

La “Beata Maria Crocifissa Curcio”

Un’altra importante personalità ecclesiastica legata ad Ispica è la “Beata Maria Crocifissa Curcio”.

Lei nacque nella “nuova” Spaccaforno (odierna Ispica) il 30 Gennaio 1877, da Salvatore Curcio (ufficiale postale, facente parte di un’agiata famiglia) e Concetta Franzò (erede di un ramo baronale), essendo battezzata col nome di “Rosa Curcio – Franzo”

Fu la settima di dieci figli (cinque maschi e cinque femmine).

Rosa Curcio – Franzò visse la gioventù insieme ai dieci fratelli e sorelle presso la casa di famiglia posta ad ovest della Chiesa della Santissima Annunziata, un tempo posta tra la Via XXIV Maggio e il tratto nord della Via Verdi, e ora soppiantata da un moderno edificio sul però quale è posta un’apposita targa commemorativa in onore della religiosa ispicese.

Essendo di famiglia agiata, ebbe una discreta istruzione che però fu limitata in quanto ritenuta una futura “donna di casa” predestinata a svolgere il compito di “moglie”.

Nonostante ciò, la giovane Rosa si documentò consultando la biblioteca familiare su varie argomentazioni, rimanendo particolarmente dalla vita e dalle opere della religiosa carmelitana “Santa Teresa d’Avila”.

In base a ciò di cui era venuta a conoscenza, nel 1890 Rosa Curcio – Franzò a circa 13 anni divenne “Terziaria Carmelitana”.

A circa 16 anni entrò come novizia presso l’ordine delle Suore Domenicane a Scicli, venendo però trasferita presso l’ex Convento del Carmine a Spaccaforno (che ospitava la comunità femminile dell’ordine domenicano).

Nonostante ciò, si sentiva più devota al culto “carmelitano”, e a causa dei suoi turbamenti fu vittima di un “malessere” che la allontanò dalla vita monastica, almeno per il momento.

Tornò all’ordine terziario carmelitano divenendone “priora” dal 1897 al 1908, utilizzando la casa paterna come piccolo “convento” dentro il quale vissero altre consorelle.

In quel periodo Rosa Curcio – Franzò, che spesse volte riceveva la visita dell’allora Vescovo di Noto Monsignor Giovanni Blandini, conduceva una vita di preghiera mettendosi nel frattempo al servizio dei poveri e degli ammalati, dando loro conforto e sostegno.

La fama dell’operato di Rosa Curcio – Franzò che aveva intenzione di affiliarsi all’ordine religioso delle Carmelitane, divenne nota in tutta Spaccaforno e furono in molti ad acclamarla, ma una serie di incomprensioni e di “invidie” cominciarono a a far sorgere dei dubbi.

Il fratello di Rosa, Federico Curcio – Franzò sollecitò il vescovo Monsignor Blandini ad intervenire per fermare ciò.

Il vescovo inviò a Spaccaforno il carmelitano scalzo Padre Pio Bagnoli, che ebbe occasione di parlare con Rosa Curcio – Franzò e di fermare l’azione calunniosa verso di lei.

Il religioso carmelitano diede dei validi consigli a Rosa Curcio – Franzò e la indirizzò ad affiliarsi all’ordine delle Carmelitane di Campi Bisenzio (FI).

Nel 1912 Rosa e alcune sue consorelle si trasferirono a Modica presso il Conservatorio “Carmela Polara”.

La giovane Rosa, cercò di “prendere i voti” prima del periodo prestabilito, e fu severamente ammonita dal vescovo della diocesi netina.

Nonostante ciò, Rosa e le consorelle al suo seguito vennero inviate presso il convento delle Carmelitane di Campi Bisenzio per “fare esperienza religiosa”, ma ciò risultò un fallimento per vari fattori.

Rosa fece ritorno in Sicilia dove assunse con successo la direzione del Conservatorio “Carmela Polara”, presso il quale venivano ospitate giovani donne indigenti, divenendone “Madre Superiora” con nome di “Suor Maria Crocifissa”.

Nonostante ciò era ancora vivo il desiderio di fondare un ordine “carmelitano”, ma il nuovo vescovo della Diocesi di Noto, Monsignor Giuseppe Vizzini, non fu d’accordo su ciò.

Rosa, tramite il salesiano Don Domenico Piscitello, si rivolse a Padre Alberto Grammatico, priore della Provincia Carmelitana di Sicilia.

Egli la mise in contatto con il religioso carmelitano olandese residente a Roma, Lorenzo Van Den Eerenbeemt, il quale cominciò a supportare l’operato della terziaria carmelitana ormai quarantasettenne.

Dopo la prima visita a Roma avvenuta il 17 Maggio 1925 in occasione della canonizzazione di “Santa Teresa del Bambin Gesù”, Rosa ha modo di visitare la località nota come “Santa Marinella” rimanendone colpita sia dalla bellezza naturale che dalla povertà di coloro che la dimoravano.

Capì che lì, a Santa Marinella, doveva portare avanti la sua missione.

Rosa Curcio – Franzò si trasferì definitivamente a Santa Marinella il 3 Luglio 1925 assieme alle sue consorelle, mentre tredici giorni dopo (16 Luglio 1925) la sua comunità venne finalmente aggregata all’ordine carmelitano.

L’allora reggente della Diocesi di Porto – Santa Rufina, il Cardinale Antonio Vico, diede il permesso di culto alla comunità.

Il 13 Aprile 1930 il successore del suddetto Cardinale, Tommaso Pio Boggiani, approvò la costituzione della comunità riconoscendola come “congregazione di diritto diocesano”.

Rosa Curcio – Franzò, che divenne nota come “Maria Crocifissa Curcio”, finalmente vide i suoi sforzi concretizzarsi con la realizzazione del suo ordine femminile monastico comprendente vita religiosa e l’aiuto del prossimo, che divenne noto come “Suore Carmelitane Missionarie di Santa Teresa del Bambin Gesù”.

“Maria Crocifissa Curcio” morì il 4 Luglio 1957 a Santa Marinella (RM), essendo sepolta all’interno della Chiesa di Santa Maria del Carmine (appartenente al convento del suddetto ordine religioso).

Con il “decreto di lode” del 3 Ottobre 1963, l’ordine delle “Carmelitane Missionarie di Santa Teresa del Bambin Gesù” fu ufficialmente riconosciuto dalla chiesa cattolica.

Nel frattempo “Maria Crocifissa Curcio” venne elevata al rango di “Venerabile”.

In seguito di una guarigione miracolosa avvenuta nel 1976 mediante la quale il muratore pozzallese Giovanni Azzarelli guarì miracolosamente da un tumore alle ossa, il 12 febbraio 1989 tramite l’allora vescovo della Diocesi di Porto – Santa Rufina Monsignor Diego Bona, venne avviato il processo per la beatificazione di “Maria Crocifissa Curcio”, alla quale venne attribuito il suddetto prodigio.

Il processo si è poi concluso il 19 ottobre 2004, essendo seguito dalla beatificazione ufficiale avvenuta a Roma il 13 Novembre 2005 ad opera di Papa Benedetto XVI.

Ad oggi “Beata Maria Crocifissa Curcio”, nonostante le tribolazioni e le diffidenze patite nella sua terra natale, è divenuta a tutti gli effetti una delle principali personalità religiose originarie di Ispica, città all’interno della quale sta prendendo piede il culto in suo onore.

Infatti ad Ispica è sorta una comunità di Suore Carmelitane Missionarie di Santa Teresa del Bambin Gesù all’interno della struttura nota come “Villa Agatina”.

Per saperne di più visita i siti web madrecrocifissa.org e suorecarmelitanemodica.it.

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