Noto, Tradizioni popolari netine

Noto

Tradizioni popolari netine

La “moglie” di “San Corrado Confalonieri”

Un’antica leggenda popolare netina ha per oggetto “San Corrado” e la sua presunta “moglie” che si doveva chiamare o Giovannina o Eufrosina (ciò attesterebbe che prima di intraprendere la vita eremitica, “San Corrado” doveva essere sposato) che, dopo la scelta di peregrinare e vivere da Eremita del futuro “Patrono di Noto”, si fece Suora nell’ordine delle Clarisse. Prima di separarsi la moglie chiese a Corrado “Quannu ni viriemu?” (“Quando ci rivedremo?”), e lui rispose “Quannu tiri l’acqua co panaru” (“Quando poi prenderai l’acqua col cestino”), lei rimase stupita poiché col “Panaru”, che è in vimini, l’acqua cade e non si può prendere dal pozzo.

Detto ciò si separarono e intrapresero i loro rispettivi cammini spirituali. Un giorno questa moglie di “San Corrado” si trovò in un convento posto vicino Noto (dove decise di passare i suoi ultimi giorni di vita, va precisato che forse era corrispondente al Convento delle Suore Clarisse di Noto Antica in quanto si narra che prese i voti presso le Suore Clarisse) quando un vecchio barbuto gli chiese un po di acqua, lei aprì un pozzo e lui gli diede un “Panaru” in vimini con cui prese l’acqua dal pozzo. Il vecchio bevve, ringraziò e prima di andarsene gli lasciò questo “Panaro”. Solo allora la monaca si ricordò della frase detta da suo marito tanti anni fa, “Ni viriemu quannu tiri l’acqua co panaru” e lei capì che quel vecchio barbuto era il suo amato Corrado, che pochi giorni dopo morì in odore di santità nella Cava dei Pizzoni presso la Contrada di San Corrado di Fuori.

L’origine dei “Cili” di “San Corrado”

I grandi ceri votivi portati dietro l’Arca di San Corrado noti come i “Cili” (o “Cilii” ) sono considerati cone l’elemento che rende fastosa la Processione del “Santo Piacentino”.

Essi sono nati nel 1620 per volere del Prete Pietro Ansaldo, che voleva rendere più bella la Processione della Cassa Reliquiaria in cui sono poste le ossa del “Santo”. Prima erano portati in Processione solo due grandi ceri, negli anni a seguire questi ceri pesantissimi vennero portati ca coloro che, non potendo portare la Cassa, intendevano fare lo stesso un “Voto” al “Santo”. Con i “Cili” si fa lo spettacolare “Giru re Cili” che è la vera e propria dimostrazione di devozione verso il “Santo Patrono”.

Questa usanza venne descritta dall’antropologo palermitano Francesco Pitrè durante i suoi studi sulle tradizioni sacre siciliane. Oggigiorno vi è una vera e propria confraternita detta “Dei portatori dei Cili” dotata di un preciso organigramma e di uno statuto da rispettare. Per ulteriori informazioni il sito è www.portatorideicilii.it.

“A Monaca Santa”

La leggenda della “Monaca Santa” di Noto Antica risale all’ultimo periodo di vita dell’antica e gloriosa città medievale di Noto. Secondo la tradizione popolare alcuni giorni prima del terremoto nell’anno 1693, presso l’attuale Eremo di Santa Maria della Provvidenza (che in realtà era sede dell’ordine dei Frati Riformati) vi era una una suora che andava in giro per le vie dell’antica città netina per avvisare la gente che l’11 Gennaio vi sarebbe stata una tremenda catastrofe che avrebbe cancellato la città di Noto.

I cittadini di Noto non le diedero conto tranne che un gruppo di nobili della città che, assieme a lei e a coloro che la credevano si andarono a rifugiare in una delle tante caverne poste molto probabilmente alla confluenza tra i Torrenti Carosello e San Calogero (vedi il link riguardante Noto Antica nella sezione del territorio ibleo netino).

L’11 di Gennaio arrivò il catastrofico terremoto che seminò morte e distruzione in tutta l’area del Val di Noto distruggendo oltre alla città netina anche i centri di Avola, Siracusa, Palazzolo, Spaccaforno (Ispica), Modica e Ragusa, che erano i più importanti vicino a Noto senza possibilità alcuna di chiedere aiuto a loro. Durante il terremoto la grotta in cui questa Monaca e coloro che l’avevano seguita si trovava crollò rovinosamente uccidendo tutti coloro che erano al suo interno andando perduta tra le macerie dell’antica Noto.

Si presume che la grotta si trovasse nella cava posta sotto l’Eremo di Santa Maria della Provvidenza, che molto probabilmente si formò in seguito ad un crollo avvenuto proprio a causa del terremoto (proprio a sudovest dello sperone roccioso in cui è collocato questo convento vi sono i segni di una grande frana che molto probabilmente si originò dal sisma sopracitato).

Prima di morire tutti coloro che abitavano nella cosiddetta “Rutta re Nobili” (“Grotta dei Nobili”) invocavano aiuto rimanendo inascoltati poiché gran parte della popolazione netina morì e che, ancora i numerosi gemiti di dolore di tutti i moribondi di questo funesto terremoto si possano ancora sentire nelle notti di inverno, soprattutto in quella tra il 10 e l’11 Gennaio, quando avvenne la più grande tragedia che colpì l’area del Val di Noto, di cui a testimonianza di ciò rimangono questi versi in dialetto:

“All’unnici ri Innaru a vintin’ura
cu sutta li petri cu sutta li mura”.

(L’undici di Gennaio alla ventunesima ora chi morì sotto le pietre chi sotto i muri).

Le Confraternite Religiose Netine

A Noto la tradizione delle “Confraternite Religiose” ha origini piuttosto antiche. Le prime di esse nacquero nell’antica città sul Monte Alveria nel periodo medievale e avevano come riferimento una chiesa. Esse erano formate da vari “confratelli” appartenenti a vari ceti sociali dai più ricchi a quelli più umili comprendendo nobili e lavoratori. Loro facevano molte opere di carità aiutando i bisognosi, gli ammalati, gli orfani e i moribondi, seppellendo all’interno delle proprie chiese (semmai avessero siti sepolcrali) coloro che morivano. Molte di loro si occupavano delle festività religiose nella città netina. Un tempo vi erano 17 confraternite che operavano presso l’antica Noto, ma col tempo il numero si ridusse.

Oggigiorno a Noto vi sono sette confraternite i cui abiti sono caratterizzati da una tunica bianca, da un copricapo e da un mantello colorato (il colore è indicato nelle voci del sottostante elenco). Esse sono:

  • Arciconfraternita dello Spirito Santo con sede presso la Chiesa dello Spirito Santo;
  • Confraternita della Beata Vergine Maria con sede presso la Chiesa di Santa Maria alla Rotonda;
  • Confraternita delle Anime Sante con sede presso la Chiesa di San Giovanni Battista alle Anime Sante;
  • Confraternita del Santissimo Sacramento con sede presso la Chiesa del Santissimo Crocifisso;
  • Confraternita di San Corrado Confalonieri con sede presso la Chiesa di Santa Maria di Montevergini;
  • Confraternita di Sant’Antonio Abate con sede presso la Chiesa di Sant’Antonio (pagina facebook);
  • Confraternita di Sant’Isidoro ai Cappuccinelli presso la Chiesa di Sant’Isidoro ai Cappuccinelli.

Per saperne di più sulle confraternite di Noto clicca qui.

Il guerriero Ducezio

Il nobile condottiero siculo Ducezio (nato nel 488 a.C. nei pressi dell’attuale città di Mineo, o addirittura nell’antico sito della primitiva Neas sito sul Cozzo Aguglia nel cuore del territorio ibleo di Noto) è il mitico fondatore della città di Noto ma anche storicamente il primo uomo a parlare di “Nazione Siciliana” indipendente dai greci che avevano fondato colonie a Siracusa, Agrigento, Gela, Giardini Naxos ecc…

Ducezio voleva appunto la Sicilia libera dai greci e dai loro discendenti noti col nome di “Sicelioti”; a governare la Sicilia dovevano essere i nativi di popolazioni siciliane erano noti come “Siculi” (nome dato alle popolazioni siciliane della Sicilia orientale, mentre in quella centro – occidentale erano noti come “Sicani”; dall’unione dei nomi “Siculi” e “Sicani” nacque il nome “Siciliani”).

Dopo aver spostato Noto sul Monte Alveria dal presunto sito di Cozzo Aguglia, fondò anche le città di Palikè (Palagonia) che doveva essere la capitale del suo ideale stato siciliano (che venne eretta anche a sede della “Lega Sicula” contro greci e sicelioti) conducendo varie azioni di lotta contro le principali città greche della Sicilia, tra cui la potente Siracusa conquistando le città siceliote di Inessa – Aetna (Paternò – Catania), Morgantina (Aidone – Enna), Camarina (Ragusa), Enna e Motyon (San Cataldo – Caltanissetta). Inessa e Morgantina vennero distrutte mentre gli altri centri vennero conquistati dai Siculi di Ducezio, che arrivarono a minacciare anche Leontinoi (Lentini) e la città portuale di Eloro (posta a sud di Noto).

I Siculi al motto di “Sicilia ai Siculi” si sentivano già una nazione, ma le città greche di Siracusa, Gela e Agrigento si allearono sconfiggendo Ducezio presso Motyon e costringendolo all’esilio in Grecia, presso la città di Corinto (dove provenivano i coloni che fondarono Siracusa). Ducezio durante l’ultimo periodo della sua vita riuscì a tornare in Sicilia e a fondare un ultimo insediamento noto come “Calacte” presso l’attuale città di Caronia (Messina) prima di morire nel 440 a.C. Anno in cui venne distrutta la città sicula di Palikè dalla lega militare formata da Siracusa, Gela ed Agrigento. Tutte le sue città fondate passarono sotto il dominio dei greci, tra cui anche l’antica Neas, da cui si sviluppò la gloriosa Noto medievale.

Ducezio viene tuttora ricordato come il “Principe dei Siculi”, che sotto di lui si unirono in un popolo unitario che per la prima volta nella storia si sentiva unito sotto una nazione libera da stranieri (greci) e che vide in Noto uno dei luoghi prediletti del guerriero, tant’è che tuttora i netini si definiscono con fierezza “Figli di Ducezio”.

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