Palazzolo Acreide, Palazzo Ferla – Bonelli e Casa Museo “Antonino Uccello”


Il Palazzo settecentesco Ferla – Bonelli che ospita la Casa Museo “Antonino Uccello”.

Dalla Via Carlo Alberto imbocchiamo la Via Macchiavelli e di fronte a noi troviamo il Palazzo Ferla – Bonelli che ospita la Casa Museo di Antonino Uccello. Questo museo è considerato come il più importante di tipo antropologico della Sicilia poiché contenente numerosi oggetti considerati come importanti reperti storici che erano indispensabili per la vita quotidiana nelle campagne iblee del Val di Noto nei secoli passati con occhio di riguardo alla vita che si conduceva nelle campagne di Palazzolo Acreide, Canicattini Bagni (paese natale dell’antropologo Antonino Uccello), Buscemi, Buccheri, Cassaro, Ferla, Giarratana, Vizzini, Noto e Avola.

La Casa Museo è collocata presso la Via Nicolò Macchiavelli nel quartiere storico detto “Re Mannarazzi” (posto a nord della zona nota come “I Scaliddi”), denominato così poiché qui vi erano le “Mannare” ossia gli ovili dove venivano ricoverati pecore, capre e montoni. Essa è stata creata nel 1971 dall’antropologo canicattinese Antonino Uccello con lo scopo di “salvaguardare tutto ciò che riguarda le antiche tradizioni contadine e familiari della zona iblea del siracusano affinché il modernismo non possa offuscarle” Per un lungo periodo questo museo rimase chiuso al pubblico in seguito alla morte dell’Antropologo avvenuta nel 1979, finché non venne acquistato nel 1983 dalla Regione Sicilia che attualmente cura questo importante museo antropologico.

La Casa Museo, come detto prima, è collocata all’interno del Palazzo Ferla – Bonelli (famiglia che possedeva dei terreni tra Palazzolo e Buscemi nell’area del Monte Casale) che è considerato il più sobrio di tutti i palazzi nobiliari palazzolesi, ma non per questo il meno elegante. La facciata del palazzo è disposta in due ordini orizzontali solcati da vari pilastri. Nell’ordine inferiore vi è l’elegante portale arcuato sormontato da un piccolo corpo merlato, affiancato da quattro eleganti finestrelle arcuate (due per lato) e varie aperture poste in un periodo successivo alla costruzione del palazzo. L’ordine superiore presenta cinque balconcini ad apertura rettangolare sormontati da timpani poligonali; quello centrale sorretto da un piccolo corpo liscio in pietra bianca reca anche lo stemma della famiglia Ferla – Bonelli, mentre gli altri quattro sono sorretti da eleganti mensoloni con decorazione a spirale di elevato pregio geometrico. Il frontone è cinto da una bella merlatura.

All’interno la Casa Museo è suddivisa in 10 ale espositive in cui vi sono numerosi mobili ed oggetti utilizzati nei secoli passati dai contadini che abitavano e lavoravano nella zona iblea della provincia aretusea. Esse sono:

  • Atrio in cui vi sono esposti corredi in Ceramica di Caltagirone, architravi e cornicioni intagliati e numerose sculture in pietra bianca provenienti da Canicattini Bagni che raffigurano soggetti vari;
  • Ex Stalla dove troviamo una sontuosa collezione di “Pupi siciliani”, opere del palazzolese Don Gaspare Canino. Bisogna sapere che i “Pupi siciliani” raffigurano personaggi storici che hanno segnato la mitologia medievale siciliana (Carlo Magno, Ruggero, Rinaldo, Angelica, i Soldati Mori ecc…) utilizzati anticamente nei teatrini erranti che un tempo percorrevano tutta la Sicilia per allietare la gente di ogni ceto sociale. In questa stanza vi sono esposti anche fischietti in Ceramica di Caltagirone (chiamati in dialetto “Frischietti”) raffiguranti Santi, animali e personaggi storici come Garibaldi. Inoltre possiamo ammirare giocattoli antichi, indumenti pastorali e un quadro raffigurante “La Battaglia del Ponte dell’Ammiragliato” (ponte arabo – normanno che cavalcava un tempo il Fiume Oreto, che scorre tuttora dentro Palermo in un altro alveo che non tocca più questo ponte), opera del pittore A. Crodio;
  • Cortiletto dove possiamo ammirare un antico pozzo che serviva per usufruire delle acque situate nel sottosuolo palazzolese, ricco di grotticelle e anfratti di origine carsica dove scorrono corsi d’acqua sotterranei; su questo pozzo è situata la “Curchera”, sbarra in ferro battuto dove vi sono i ganci in cui venivano appesi i secchi utilizzati per prelevare l’acqua. Infine possiamo ammirare le antiche tegole che ricoprono il tetto della casa (le cosiddette “Ciaramiri”, che possiamo anche trovare dentro un qualsiasi negozio di arte etnica della Provincia di Siracusa, esse però si presentano decorate da raffigurazioni dipinte con pittura acrilica);
  • Stalla dove vi sono posti i tipici attrezzi utilizzati dagli stallieri, fantini e maniscalchi (bardature e finimenti per cavalli e asini come briglie, morsi, paraocchi, selle e i “Ferri ri cavaddu” posti sotto gli zoccoli degli equini per far si che potessero avere stabilità nelle strade sterrate), gioghi (“Cuddari”) in legno di “Favaragghiu” (nome siciliano del Bagolaro, tipica pianta iblea), campanacci per i bovini, attrezzi agricoli (zappe, falci, forconi, picconi, aratri, erpici, vanghe, bastoni ecc…). Da ammirare la “Mangiatura”, cioè la mangiatoia dove pascolavano gli asini e i cavalli;
  • “Maiazzè” (magazzino) era il luogo utilizzato nei mesi invernali sia per conservare le derrate alimentari raccolte in estate (cereali, mandorle, carrube e ortaggi vari) e le sementi varie, sia per fare la “cernita del grano” cioè passare nel setaccio (“Criu”) i chicchi di frumento che a seconda del peso e della dimensione venivano utilizzati o per estrarne la farina di semola o come sementi per piantare il frumento l’anno venturo. In questo grande stanzone sono esposti il grande setaccio, attrezzi per cucinare (pentoloni e tazze per la ricotta, mestoli chiamati in siciliano “Cuppini”, scodelle, posate e piatti), attrezzi utilizzati anticamente dai calzolai (tra cui le “Lesine”) e dai barbieri (rasoi e forbici), corredi per i neonati e altarini sacri;
  • Frantoio in questo locale vi è situato il grande palmento (chiamato “Trappitu”) dove veniva cavato l’olio d’oliva. Esso è formato da un grande piano circolare in pietra bianca dove venivano deposte le olive, sopra cui vi è una possente ruota sempre dello stesso materiale che veniva fatta girare da un asino sopra di esse, in modo da ricavarne la pasta di olive che veniva strizzata da torchi di legno affinché percolasse l’olio di’oliva dentro recipienti in stagno chiamati “Cafisi”, mentre il residuo era utilizzato come concime organico. Oltre al frantoio per le olive, vi sono conservati anche i torchi con cui veniva lavorato il miele. Il procedimento era lo stesso utilizzato per la pasta delle olive; le cellette esagonali dell’alveare venivano strizzate da questi torchi in modo che da essi fuoriuscisse il miele, mentre il residuo (la cera) era utilizzata per fare unguenti medici (pappa reale) candele e opere ceroplastiche (statue di cera) conservate presso questo museo;
  • Piccolo “Maiazzè” a differenza del “Maiazzè”, questo magazzino era utilizzato per stipare le giare dell’olio o del vino. Presso questa stanza vi è il Granaio dove vi sono esposte antiche “Statuine del Presepe” risalenti all’800 e al 900. Nei locali situati poco più fuori vi era il pollaio;
  • Portico e Cortile attraverso un pregevole Portico arcuato, possiamo accedere al Cortile principale della Casa Museo. Qui vi erano i capanni dove venivano riposti un tempo gli attrezzi agricoli utilizzati in campagna dai contadini dell’800 e del primo 900. Ora in questo spazio vi sono: una Carrozza d’epoca, un abbeveratoio per gli animali (chiamato in siciliano “Scifo”) e una cisterna per l’acqua meteorica, utilizzata per lavare il frantoio delle olive;
  • “Casa ri massaria” questa importante stanza corrisponde alla cucina della casa. Qui sono esposti: una “Tannura” (che è l’antica cucina a legna), il forno a legna,dove venivano sfornati sia il “Pane di casa” sia le pizze e le focacce (“Mpanati” e “Scacci”), un grande tavolo di legno, oggetti usati per la cagliatura e la cottura del latte (la “Quarara” o “Caurara” dove veniva fatto bollire il latte, il “Curatulu” che serviva per cagliarlo e formare così la “cagliata” e il “Cuppinu”, ossia il mestolo per mescolarlo) e per la conservazione di formaggi (come la “Cavagna” recipiente in canna che serviva per trasportare la ricotta fresca, la “Mastredda” che serviva per scolare i formaggi e un grande mobile in legno chiamato “Issara” dove venivano messi a stagionare); una botte in cui veniva riposto il vino, un servizio di Ceramiche di Caltagirone e infine un grande telaio che serviva per tessere le “Frazzate” (grandi tovaglie che si riponevano sulla tavola in occasione del pranzo o della cena, ma il nome “Frazzata” indica anche i pesanti copriletti che abbellivano i giacigli di un tempo), i sacchi, le coperte in lana e il “Filunnienti” (che significa “Filo da niente”) usato per tessere tovaglie o strofinacci per pulire. Accanto al telaio troviamo aghi, matasse, fusi e l’arcolaio in legno;
  • “Casa ri stari” era la stanza da letto della casa; essa è di forma trapezoidale e possiede la tettoia in legno. In questa stanza veniva riposto il corredo nuziale (la cosiddetta “Dote” o “Robba” tanto citata dallo scrittore catanese Giovanni Verga nei suoi romanzi e nelle sue novelle, specie nei “Malavoglia”) formato da coperte, lenzuoli, federe e piumoni, che venivano riposti nella grande cassapanca (chiamata in siciliano con l’appellativo di “Casciabbancu” o “Cassittuni”). Il letto, avente materassi in paglia, sono foderati con lenzuoli e “Frazzate” multicolori. Arredano questa stanza: un attaccapanni ligneo (dove sono appesi indumenti caratteristici dell’epoca come la “Coppola”, ossia il cappello del “Massaro”; il velo utilizzato dalla moglie del capofamiglia per andare in chiesa, il mantello della festa o “Giucca” e il pesante mantochiamato “Mantale”, indossato in inverno dal marito per lavorare in campagna ), un porta stivali in legno detto “Cava stivala”, una culla sospesa ad amaca chiamata “Naca a ‘bbuolu” o “Naca a ‘bbientu”, il contenitore in vimini chiamato “Cannizzu” dove veniva stipata la biancheria, il vaso da notte detto “Cantàru” o “Rinali”  e il braciere a carbonella detto “Conca”, usato per riscaldare la stanza nei mesi rigidi. Infine bisogna dire che nella stanza sono appesi; le foto dei Parenti Defunti (che secondo un antica credenza proteggevano i coniugi e i propri figli), un quadro raffigurante “San Paolo” (Patrono di Palazzolo) e un piccolo “Crocifisso” di legno.


L’interno della Casa Museo “Antonino Uccello”.

Oltre alle “stanze” della casa, vi sono anche numerose altre esposizioni legate al lavoro contadino legato alla molitura delle olive, alla panificazione, alla caseificazione e una sezione speciale su feste, tradizioni sacre e popolari, sui pupi siciliani e sui Presepi artistici.

Per saperne di più sulla “Casa Museo Antonino Uccello” visita i siti www.regione.sicilia.it/beniculturali/casamuseouccello (ufficiale) e www.casamuseo.it.

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