Scicli, Tradizioni popolari sciclitane

Scicli

Tradizioni popolari sciclitane
(La Leggenda degli sbarchi dei “Santi Pietro e Paolo” presso Sampieri – La “Madonna delle Milizie” e le “Teste di Turco” – La “Fonte delle Ore”Fra’ Giovanni Morifet – L’Opera Pia “Busacca” – I Codici Sciclitani – il “Cristo in Gonnella” – I “Fantasmi” di Scicli – Il “Gruppo di Scicli” e le gallerie d’arte contemporanea all’interno della città sciclitana – Scicli e il Commissario Montalbano – Il Cane “Italo”)

La Leggenda degli sbarchi dei “Santi Pietro e Paolo” presso Sampieri

La frazione sciclitana di Sampieri, posta nell’area costiera a sudest di Scicli, secondo un’antica leggenda popolare sarebbe stato il punto in cui “San Pietro Apostolo” sbarcò nel 40 d.C. durante il suo viaggio a Roma.

Il toponimo “Sampieri” deriverebbe proprio da ciò.

La presenza di un approdo portuale presso l’attuale Sampieri è certificata, anche dalle rovine di quello che doveva essere il tempio consacrato ad “Apollo Archègeta” (termine derivante dal greco “Archegétēs” indicante il titolo dato agli dei o ad eroi della mitologia greca, a cui i coloni si rivolgevano prima di compiere le spedizioni con cui conquistavano le cosiddette “colonie”), localizzato presso l’area nota come “Puzzu ra Za Vanna” posta ad ovest di Sampieri lungo la Scogliera di Costa di Carro.

Ma non si sa con precisione se “San Pietro Apostolo” sia sbarcato o meno presso l’approdo sampierese di cui si sono perse le tracce, ma che doveva essere ubicato nei pressi della scogliera di Punta Pisciotto, sulla quale è posta la “Fornace Penna”.

Infine Sampieri è uno dei probabili luoghi, sempre secondo la tradizione locale, in cui “San Paolo” sbarcò in Sicilia nel suo viaggio verso Roma, in cui fece una sosta presso Siracusa; la località sciclitana va quindi ad aggiungersi agli altri luoghi in cui “L’Apostolo delle Genti” sarebbe sbarcato per la prima volta in Sicilia (tra cui citiamo l’attuale Pozzallo, l’area posta nei pressi del Pantano Longarini tra i territori di Ispica e Pachino, e il litorale a nord di Avola in Provincia di Siracusa).

La “Madonna delle Milizie” e le “Teste di Turco”

La leggenda della “Madonna delle Milizie”, da cui è nato l’omonimo culto consacrato alla “Patrona” della città di Scicli, nacque nell’ultimo decennio del XI secolo (1000 – 1101) durante il periodo coincidente con la conquista normanna della Sicilia avvenuta nell’anno 1091, grazie alla quale cessò il dominio arabo sull’isola siciliana.

La città di Scicli, che in quel periodo era quasi interamente arroccata sul Colle San Matteo, fu protagonista di una battaglia tra normanni e arabi che si tenne presumibilmente nel Marzo 1091 presso la località di campagna nota come “Milici” (o “Mulici”) posta a sudovest della cittadina sciclitana.

In questa zona vi era un tempo un insediamento di epoca greca, sul quale era posto un tempio “Bacco Milicio”, aggettivo che significa pressappoco “Fertile”, e che appunto indicava la fertilità delle limitrofe aree in cui veniva coltivata la vita (pianta cara alla suddetta divinità). Il villaggio rimase abitato fino al periodo bizantino, venendo abbandonato proprio in concomitanza con la conquista araba della Sicilia (che ovviamente interessò anche l’attuale territorio appartennete a Scicli).

Nei pressi di questo insediamento si tenne la sopracitata battaglia, di cui però non si conoscono con precisione né l’anno e neanche il mese, anche se come da tradizione vengono citati il mese di Marzo e l’anno 1091.

Lo scontro vide fronteggiarsi rispettivamente l’esercito saraceno capitanato dall’emiro il cui nome è noto come “Belcane” (sul suo vero nome si fanno tuttora molte ipotesi), contrapposto a quello normanno che secondo la tradizione, era comandato da Ruggero I d’Altavilla, 

Fu una cruenta battaglia tra i due eserciti, e ovviamente ci fu un alto numero di vittime e di feriti.

Ma nel bel mezzo della battaglia all’improvviso comparve una “figura femminile” che, brandendo una spada, si scagliò contro l’esercito saraceno pronunciando la frase “En adsum Civitas mea dilecta, protegam te dextera mea” (“Ecco, io sono qui nella mia amata città, io ti proteggerò con la mia mano”).

La comparsa di questa misteriosa figura andò a favorire le sorti della battaglia in favore dei cavalieri normanni, che così poterono liberare la città Scicli dal dominio arabo, con l’esercito saraceno che si ritirò.

La “guerriera” che fece vincere questa battaglia ai normanni fu identificata con la figura della “Vergine Maria”, che venne appunto chiamata “La Madonna delle Milizie”, divenendo quindi “Patrona e Protettrice” della città sciclitana. Sul luogo in cui avvenne la sopracitata battaglia venne costruito il Santuario consacrato alla “Madonna combattente”.

Tutte le vicende di questo “miracolo” (o presunto tale) sono narrate nel manoscritto noto come “Codici Sciclitani”, rinvenuto dal notaio sciclitano Giuseppe Di Lorenzo presso l’archivio del Castello dei Tre Cantoni di Scicli nella data del 15 Marzo 1653 (vedi più sotto).

Le “Teste di Turco” sono il principale “dolciume tipico” della città di Scicli, legato alla festività patronale consacrata alla “Madonna delle Milizie”.

In conseguenza al miracolo della “Madonna delle Milizie”, festeggiata l’ultimo Sabato di Maggio, nacque la ricetta dei dolci tipici di questa festività che sono noti col nome di “Teste di Turco”.

Essi sono dei dolci più o meno simili a grossi bignè il cui nome indicherebbe le teste dei soldati saraceni (chiamati in maniera popolata “turchi”) mozzate durante la sopracitata battaglia in cui apparve la “Madonna a Cavallo”, ma in realtà il significato si ispira al copricapo arabo noto come “turbante”.

Questi dolci vennero probabilmente prodotti per la prima volta all’interno di uno dei conventi femminili posti all’interno della città di Scicli, essendo quindi destinati ad essere consumati esclusivamente da personalità “aristocratiche”. In seguito la preparazione di questi dolci si è poi diffusa in tutta Scicli, divenendo quindi uno dei principali prodotti tipici cittadini.

Questi grossi bignè simili a “turbanti” saraceni che vengono cotti in forno, hanno un soffice impasto a base di acqua, farina di tipo “00”, uova, strutto e zucchero (e una minima parte di sale). Dopo la cottura vengono farciti con ricotta dolce o vari tipi di creme.

Le “Teste di Turco” sono appunto il dolce tipico della festa in onore della “Madonna delle Milizie”, ma è possibile gustarle tutto l’anno all’interno della città sciclitana.

La “Fonte delle Ore”

La “Fonte delle Ore”, in arabo “Ayn al Aqwat”, è una sorgente di acqua dolce ubicata presso il litorale di Donnalucata, importante frazione balneare del comune di Scicli il cui attuale toponimo deriva proprio dal sopracitato termine in lingua araba.

Questa sorgente è citata dallo storico e cartografo arabo “Muhammad Al Idrisi” nella sua opera “Il sollazzo per chi si diletta di girare il mondo” nota anche come “Libro di Ruggero” poiché venne realizzata nel 1154 per l’allora sovrano di Sicilia Re Ruggero II d’Altavilla.

Qui viene descritta la cosiddetta “Fonte delle Ore”, il cui nome va a descrivere appunto la particolarità di questa sorgente da cui sgorgano limpide acque da sotto la sabbia. Ciò avveniva cinque volte al giorno in concomitanza con gli orari della preghiera musulmana che si svolge rispettivamente all’alba, a mezzogiorno, nel pomeriggio, al tramonto e di notte (per saperne di più clicca qui).

La “Fonte delle Ore” corrisponderebbe ad una sorgente posta alla fine del Lungomare di Via Marina (immissione di Via Lido), che per le sue caratteristiche è piuttosto simile alla “Ayn al Aqwat” da cui deriva il nome di Donnalucata, ma si cui non si conosce ufficialmente la sua ubicazione.

Questa sorgente, una vera e propria “curiosità naturale”, è senza dubbio uno dei luoghi più noti di Donnalucata che viene per l’appunto preservata.

Le acque dolci di questa sorgente, quando fuoriescono dal sottosuolo, fanno “bollire” la sabbia, dando forma al fenomeno chiamato in dialetto “Ugghie” , e ovviamente il contrasto tra l’acqua dolce e l’acqua salata del mare va a creare dei piccoli gorghi.

La “Fonte delle Ore” è una delle tante “sorgenti costiere” presenti in Sicilia sudorientale, di cui la più famosa è la “Fonte Aretusa” di Siracusa.

Fra’ Giovanni Morifet

Fra’ Giovanni Morifet è una delle figure più enigmatiche legate alla città di Scicli.

Esso era un religioso di origine francese facente parte del Terz’Ordine Regolare di San Francesco, che visse a Scicli dal 1515 presso l’oratorio di Santa Maria del Monte Sion  assieme alla suddetta comunità religiosa di egli cui era l’esponente più importante.

Il religioso francese, che visse a partire dal 1521 all’interno del Convento della Croce che andò ad inglobare il suddetto oratorio, alla cui costruzione contribuirono l’allora Università di Scicli, i Conti di Modica Anna Cabrera Ximenes e Federico Enriquez (dal cui matrimonio nacque la dinastia “Enriquez – Cabrera” che fu reggente della Contea di Modica) e il medesimo frate.

Secondo a quanto citato dallo storico sciclitano Antonino Carioti, Fra’ Giovanni Morifet decise di vivere “in eremitaggio” fino alla fine dei suoi giorni all’interno di una caverna posta sotto il convento.

Questa angusta cavità rupestre posta presso l’area sudorientale dell’ex convento francescano posto sul Colle della Croce, è nota appunto come “Grotta di Fra’ Giovanni Morifet”. La stanza scavata nella roccia, che al momento non è visitabile, venne rinvenuta nell’anno 2000 in seguito ai lavori di restauro che hanno interessato il soprastante convento cinquecentesco.

La grotta corrispondendo al luogo in cui Fra’ Giovanni Morifet visse gli ultimi anni della sua vita fino alla morte facendosi murare all’interno di essa. I resti mortali del frate non erano presenti (probabilmente il corpo del religioso è stato recuperato dopo il suo decesso e seppellito altrove).

Secondo gli sciclitani, lo spirito di Fra’ Giovanni Morifet dimora all’interno di questa grotta, vagando di notte per i corridoi del soprastante Convento di Santa Maria della Croce.

L’Opera Pia “Busacca”

L’Opera Pia “Busacca”, nota attualmente come Azienda Socio Sanitaria di Assistenza alla Persona “Pietro Di Lorenzo Busacca”, è una delle più antiche associazioni benefiche della città sciclitana.

Essa nacque grazie al lascito testamentario del banchiere e mercante Pietro Di Lorenzo detto “Busacca”, proveniente da una famiglia di ebrei convertiti al cristianesimo che la si vuole natia di Scicli. Durante la sua vita fece molte opere di bene tra Scicli e Palermo, città in cui morì il 25 Luglio 1569. I suoi resti mortali sarebbero sepolti molto probabilmente presso la Chiesa di Santa Maria degli Angeli annessa al Convento dei Frati Minori Osservanti della città palermitana.

Prima di morire, Pietro Di Lorenzo “Busacca” fece un testamento, le cui disposizioni furono che gran parte del suo patrimonio venisse suddiviso in tre parti. Due di esse vennero donate alle confraternite religiose di Santa Maria la Nova e San Bartolomeo (con cui vennero abbellite le chiese facenti capo a loro), mentre la terza servì per istituire la sopracitata Opera Pia.

Essa, la cui sede è posta presso l’odierno Palazzo Busacca posto in Via Nazionale (progettato dall’architetto sciclitano Bartolomeo Emmolo e decorato dal pittore avolese Gregorio Scalia) si occupava dell’assistenza ai malati e agli indigenti della città sciclitana, oltre che di molte donne rimaste orfane.

Grazie al patrimonio appartenente a quest’opera pia, venne costruito l’attuale Ospedale di Scicli (progettato dall’architetto Ignazio Emmolo) tra il 1904 e il 1908, che venne intitolato proprio al filantropo Pietro Di Lorenzo “Busacca”.

I Codici Sciclitani

“I Codici Sciclitani” sono una raccolta di manoscritti la cui origine risalirebbe al periodo medievale (secolo 1200), che vennero rinvenuti presso l’archivio del Castello dei Tre Cantoni il 15 Marzo 1665 dal notaio sciclitano Giuseppe Di Lorenzo, che ne copiò i contenuti in un’agenda che venne affidata all’Arciconfraternita di Santa Maria la Nova.

Quest’agenda venne a sua volta ritrovata nel 1878 all’interno dell’archivio appartenente alla sopracitata confraternita religiosa.

I “Codici Sciclitani” narrano rispettivamente le origini del culto alla “Madonna delle Milizie” del 1091 (la battaglia tra saraceni e normanni, la comparsa della “Madonna a Cavallo” ecc…), e il ritrovamento della statua “Madonna della Pietà” avvenuto nel Marzo del 1111 grazie ad un soldato normanno (simulacro tuttora venerato all’interno della Chiesa di Santa Maria la Nova, che viene festeggiato la Domenica delle Palme e il 15 Settembre). .

Il contenuto di questi manoscritti è stato oggetto di approfonditi studi che sono stati condotti da vari grafologi e storici secondo i quali l’autenticità di essi era “genuina”. Tra loro vanno citati i netini Corrado Avolio e Padre Corrado Sbano (che analizzò una copia dei manoscritti effettuata da Guglielmo Pinsero, membro dell’Arciconfraternita di Santa Maria la Nova, che egli stesso inviò al prete netino), il tedesco Wilhelm Kupsch e l’ispicese Melchiorre Trigilia.

Secondo altri studiosi, tra cui citiamo Michele Catalano e Giuseppe Cusimano, questi manoscritti invece non sarebbero autentici.

Tuttora il dibattito dell’autenticità dei “Codici Sciclitani” è ancora in corso assieme al loro “studio”; ma se essa viene confermata, questi manoscritti apparterrebbero alle più antiche forme di “siciliano scritto” tuttora esistenti.

Per saperne di più sui “Codici Sciclitani” clicca qui.

Il “Cristo in Gonnella”

“Il Cristo in Gonnella” è un enigmatico dipinto posto all’interno della Chiesa di San Giovanni Evangelista di Via Francesco Mormina Penna, la principale “strada barocca” della città di Scicli.

Quest’opera d’arte raffigura il “Cristo di Burgos”, un “Crocifisso” ligneo collocato all’interno della Cattedrale di Santa Maria collocata all’interno della città spagnola di Burgos, caratterizzato da una “veste” simile ad una lunga gonna che va a coprire gli arti inferiori.

L’opera pittorica, attribuita ad un pittore spagnolo noto come “Don Juan de Parlazin” risalirebbe all’anno 1696; difatti il nome dell’artista e le cifre del citato anno sono raffigurate nella parte inferiore del dipinto.

Quest’opera d’arte concepita in Spagna, ma esposta a Scicli, raffigura appunto il “Cristo Crocifisso” avente gli arti inferiori coperti da un lungo abito talare di colore bianco (nell’originario “Cristo di Burgos” esso è di colore nero). Sotto il Crocifisso sono raffigurate inoltre tre grosse uova (probabilmente di struzzo).

Quest’opera d’arte è stata donata con molta probabilità da una famiglia nobile sciclitana di origine spagnola (i baroni Ribera?) al non più esistente Monastero delle Benedettine di Scicli (che ha fatto spazio all’attuale Municipio cittadino) di cui faceva appunto parte l’esistente Chiesa di San Giovanni Evangelista.

Il significato di questo dipinto raffigurante il “Cristo di Burgos” assume vari significati. Innanzitutto la veste che ricopre parzialmente il “Cristo Crocifisso” indicherebbe significare il “sacrificio” compiuto sulla Croce in chiave sacerdotale, mentre le tre uova poste sotto la Croce dovrebbero indicare il culto della “Resurrezione di Cristo” (celebrato appunto con le “Uova di Pasqua”).

In Italia oltre a Scicli, è presente un altro dipinto che raffigura il “Cristo con la Gonna”; esso è posto in Lombardia all’interno di un oratorio di Gravedona (Como).

I “Fantasmi” di Scicli

Scicli, così come gran parte delle città siciliane, possiede varie leggende su “fantasmi” ed eventi paranormali.

Tralasciando la suddetta “apparizione” della “Madonna delle Milizie” grazie alla quale i normanni vinsero la loro battaglia contro gli arabi (che però potrebbe anche essere frutto di uno “stratagemma” messo in atto per poter vincere lo scontro armato), a Scicli le più note “leggende” legate ad apparizioni paranormali sono quelle legate a Fra’ Giovanni Morifet (citata in precedenza) e alla “Casina Rossa”.

Fra’ Giovanni Morifet” fu un religioso di origine francese facente parte del Terz’Ordine Regolare di San Francesco, che visse la sua vita (prima metà del 1500) presso il Convento Francescano posto sul Colle della Croce (a sudest di Scicli). Il frate andò a vivere come “eremita” in una caverna posta sotto l’edificio monastico, all’interno della quale morì. Questa caverna venne rinvenuta nel 2000 durante i restauri dell’ex edificio sacro, ma all’interno di essa non vennero rinvenuti resti mortali appartenenti al religioso, il cui corpo venne forse sepolto altrove. Se del corpo del frate non si sa nulla, invece il suo “spirito” sembrerebbe ancora “presente” all’interno dell’edificio, dato che per gli sciclitani Fra’ Giovanni Morifet vagherebbe di notte nei corridoi del Convento di Santa Maria della Croce.

Diverso è il discorso legato alla “Casina Rossa”, edificio posto presso la  la S.P. 94 “Cimitero Modica – Mangiagesso” (strada che collega Modica a Scicli tramite la S.P. 88 “Betlem – Piano Ceci”) costruito nei primi anni del 1900, chiamato così per le tegole che ne ricoprono il tetto. Esso era la sede dell’ufficio amministrativo appartenente alle aziende tedesche “Heinrich Kopp” e “Weiss und Freitag” a cui appartenevano alcuni giacimenti di asfalto posti presso le vicine aree di Castelluccio e Streppenosa (poste lungo la valle solcata dal Fiume Irminio tra i territori di Ragusa, Modica e appunto Scicli). 

Gli uffici all’interno di questo edificio servivano per coordinare i lavori di estrazione dell’asfalto, che veniva inviato agli scali portuali di Mazzarelli (attuale “Marina di Ragusa”), Pozzallo, Siracusa e Licata (AG) per essere imbarcati in direzione di altri porti italiani ed europei. Dopo la I guerra mondiale le miniere divennero di proprietà della società “A. B. C. D.” (“società italiana Asfalti, Bitumi, Combustibili liquidi e Derivati”) e con esse anche l’edificio in questione. Durante la II guerra mondiale i nazisti occuparono le miniere e appunto la “Casina Rossa” fino all’anno 1943.

All’interno di questo edificio, secondo varie dicerie tramandate da gente di origine e ragusana, modicana e appunto sciclitana vissuta durante questo periodo bellico, vi era un piccolo campo di prigionia i cui carcerati venivano condotti ai “lavori forzati” presso le vicine miniere; questi prigionieri molte volte venivano torturati fino alla morte. Si diceva che ciò venne patito anche da omosessuali che, o rifiutavano la loro condizione, o venivano torturati a morte. Dopo la guerra la “Casina Rossa” divenne temporaneamente sede di una piccola scuola, ma poi venne abbandonata fino ai giorni nostri. Oggi questo edificio ormai pericolante (la cui visita è altamente sconsigliata per motivi di sicurezza), dovrebbe diventare sede di un “museo” incentrato sul lavoro estrattivo che avveniva presso le vicine miniere d’asfalto.

Ovviamente questa casa è divenuta protagonista di varie “dicerie” su presunti fenomeni paranormali legati alle apparizioni delle anime di coloro che, molto probabilmente, vennero uccisi durante la loro prigionia avvenuta durante la II guerra mondiale.

Altre presunte “apparizioni di spettri” sarebbero avvenute di notte sul Colle San Matteo presso le rovine degli edifici crollati in seguito al terremoto dell’11 Gennaio 1693 o all’interno dei locali appartenenti all’ex Chiesa Madre di San Matteo.

Il “Gruppo di Scicli” e le gallerie d’arte contemporanea all’interno della città sciclitana

Il “Gruppo di Scicli” forma un collettivo d’arte contemporanea presente all’interno della città sciclitana tra la fine degli 1970 e l’inizio degli anni 1980. Nel 1981 di questo collettivo artistico ne parlò l’artista siciliano Renato Guttuso (che tra l’altro nel Maggio 1959 visitò l’area di Chiafura assieme al regista Pier Paolo Pasolini, allo scrittore Carlo Levi, e ai politici Antonello Trombadori, Paolo Alatri e Maria Antonietta Macciocchi).

In origine il gruppo era formato dai pittori Piero Guccione e Franco Sarnari (quest’ultimo di origine romane), a cui si aggiungeranno la pittrice di origine francese Sonia Alvarez, il pittore sciclitano Franco Polizzi, lo scultore (anch’egli di origini sciclitane) Carmelo Candiano, i pittori Salvatore Paolino e Giuseppe Colombo (modicani), Pietro Zuccaro e Giuseppe Puglisi (catanesi).

Da allora questo gruppo di artisti ha cominciato ad avere una crescente notorietà, che ha permesso ad ognuno di loro di essere presenti a numerose rassegne artistiche italiane e no.

In parallelo a ciò, le attività artistiche riguardanti l’arte contemporanea presso la città sciclitana hanno avuto ottimi riscontri tanto che sono sorte varie gallerie d’arte moderna tra cui vanno citati il  “Caffè Letterario Vitaliano Brancati”, le gallerie “L’Androne” (pagina facebook), “Koinè” (www.galleriakoine.it), “Quam” (www.tecnicamista.it) e “Mavie – Spazio Arte” (pagina facebook).

Scicli e “Il Commissario Montalbano”

Il nome di Scicli è legato al noto telefilm “Il Commissario Montalbano” che si ispira agli omonimi romanzi dello scrittore empedoclino Andrea Camilleri, di cui gran parte delle scene sono state filmate in gran parte della Provincia di Ragusa. Infatti questo telefilm poliziesco è divenuto un vero e proprio “spot turistico” per l’area del ragusano, comprendendo ovviamente anche la città sciclitana.

Ciò avvenne proprio grazie alla scelta di effettuare le riprese cinematografiche a partire dal 1999 in gran parte della Provincia di Ragusa e in altre aree limitrofe della Provincia di Siracusa (Noto, Portopalo di Capo Passero, le frazioni di Marzamemi e Brucoli appartenenti a Pachino e Augusta) e presso la Grotta Mangiapane (in Provincia di Trapani) e Tindari (ME).

Gran parte delle scene però vennero girate presso la provincia ragusana presso le località di Ragusa, Modica, appunto Scicli, Vittoria, Ispica e Comiso, e in varie aree limitrofe tra cui la Villa Fegotto di Chiaramonte Gulfi, il Castello di Donnafugata e la Grotta delle Trabacche in territorio di Ragusa, i lungomari di Scoglitti e di Donnalucata (frazione sciclitana), ma soprattutto presso Punta Secca (frazione di Santa Croce Camerina) la dove è posta la “Casa” del commissario.

Tornando a parlare di Scicli, va detto che all’interno di questa città vengono girate gran parte delle scene della cittadina immaginaria di “Vigata”, in cui il commissario lavora risolvendone vari crimini.

Infatti il “Commissariato” in cui “Montalbano” lavora è il “Palazzo Comunale” di Scicli posto presso la famosa “strada barocca” cittadina ossia la Via Francesco Mormina Penna. All’interno dell’edificio, divenuto uno dei più importanti “Luoghi di Montalbano” vi è l’ufficio del sindaco, che nel telefilm è la stanza in cui il commissario lavora (infatti è appunto nota come “Stanza Montalbano”).

Ma a dire il vero, le scene di questo telefilm sono state girate in gran parte del centro storico sciclitano, in cui possiamo riconoscere Via Francesco Mormina Penna e gran parte dei suoi edifici (tra cui il Municipio – Commissariato) tra cui il Palazzo Spadaro, la Piazza Italia col “Palazzo Penna – Musso – Iacono” che invece ricopre esternamente il ruolo della questura di “Montelusa” (altra città immaginaria che funge da “capoluogo” della provincia a cui appartiene la sopracitata “Vigata”), l’area del quartiere “San Bartolomeo” con la sua omonima Chiesa e il vicino sito rupestre di “Chiafura”, l’edicola votiva barocca di Via Peralta, la Piazza Busacca, la Via Santa Maria la Nova e l’omonimo torrente che scorre lungo Via Aleardi, l’Ospedale “Busacca”, il Colle San Matteo ecc… 

Anche al di fuori della città sciclitana presso ville nobiliari, contrade iblee e antiche “Pirrere” sono state girate varie scene di questo telefilm.

Un altro celebre “Luogo di Montalbano” è l’ex Fornace Penna di Sampieri, che in una puntata del telefilm diviene nota come “A Mannara” a cui si aggiunge il già citato Lungomare di Donnalucata. 

Grazie al “Commissario Montalbano”, la città di Scicli (così come gran parte del suo territorio) ha avuto un’enorme visibilità turistica in grado di attirare molti visitatori che, vedendo questi posti durante le scene del suddetto telefilm, hanno invogliato i medesimi a visitarli in maniera reale.

Per informazioni più approfondite sul “Commissario Montalbano” visitate i siti www.vigata.org e www.visitvigata.com.

Il Cane “Italo”

La città di Scicli è molto legata al cane “Italo”, divenuta una delle figure “simbolo” della città sciclitana al pari del “Gioia”, della “Madonna delle Milizie” e del “Commissario Montalbano”.

Si trattava di un cane in effetti “randagio” che comparve a Scicli tra il 2007 e il 2009, che però mostrava poca diffidenza verso gli “umani” essendo piuttosto docile. Non si sa con precisione da dove proveniva questo cane e su ciò vi sono molte ipotesi. Molto probabilmente Italo era il il classico “cane randagio” venuto da chissà dove, ma non si esclude un caso di animale “abbandonato” per diversi motivi. Le ipotesi più accreditate sono quelle in cui l’animale si è trovato “solo” a causa della morte di (presunti) anziani padroni, oppure (quella purtroppo più veritiera) condurrebbe all’abbandono “vero e proprio” dell’animale.

Comunque sia, questo cane cominciò a “frequentare” la Via Francesco Mormina Penna (di cui molti edifici nel 2002 divennero “Patrimonio Unesco” nell’ambito delle “Città Barocche del Val di Noto), in cui viene accudito dagli sciclitani che gli portavano da mangiare (specialmente i titolari di una pizzeria posta nelle vicinanze).

A questo cane piaceva inoltre entrare presso i luoghi sacri (in maniera speciale la Chiesa di San Giovanni Evangelista), “assistendo” alle funzioni religiose non senza le iniziali rimostranze dei preti, ma vedendo che l’animale era piuttosto docile permisero la permanenza del medesimo durante le funzioni. Il cane seguiva anche le visite turistiche guidate, e assistette anche alle processioni religiose (tra cui anche la festa in onore della “Madonna delle Milizie”) e ad alcuni funerali.

Presso il municipio cittadino venne appunto allestita una cuccia per l’animale, e in molti si fermavano per dargli da mangiare o per coccolarlo.

La figura del cane Italo, che venne ribattezzato “Italo Barocco”, divenne molto nota e furono in molti tra turisti e visitatori provenienti dalle città vicine a riconoscere questo cane (che nel frattempo era “soggetto” di vari reportages giornalistici, comparendo anche in vari siti web) e a degnarlo di varie attenzioni.

Il cane Italo morì il 31 Gennaio 2011 e la sua scomparsa lasciò molto tristi gli sciclitani e tutti coloro che, seppur non abitando a Scicli, in qualche modo lo “conoscevano”. L’animale è stato sepolto all’interno della Villa “Penna” di Via , e una “lapide” in pietra ne funge da tomba, sulla quale sono incisi una figura canina e ovviamente il suo nome, “Italo”.

Nel 2014 al cane “Italo” viene dedicato l’omonimo film (girato ovviamente a Scicli) con cui viene in gran parte raccontata la sua “vita” dal momento in cui egli è comparso all’interno della città sciclitana.

Va detto infine che una vicenda simile a quella di Italo, è quella del cane “Gaetano” vissuto a Lentini (SR).

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